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Quella degli Oliboni si potrebbe definire una... dinastia, una dinastia dei maestri del ferro battuto.
È una storia che comincia nel secolo scorso, passando attraverso le sue vicissitudini, i suoi drammi e le sue speranze, soffrendo due guerre terribili che spazzano via per sempre un mondo rurale e semplice, oggi lontanissimo e quasi irreale.
È Gaetano che, dopo aver partecipato alla Grande Guerra, sul Monte Ortigara come maniscalco degli Alpini, nel 1919 apre bottega a Soave come fabbro. Il lavoro gli piace, lo fa con passione e da lui vanno molti ragazzini per imparare un mestiere.
Tra questi, da quando ha dieci anni, c’è anche il figlio Roberto, detto Gigi, classe 1922.
Fabbro... da sempre, a parte quei maledetti quattro anni che la guerra e la prigionia gli rubano! Un uomo mite, ma fermo, con una grande dignità che gli deriva anche dalle sue robuste radici legate al lavoro.
Lo stesso sguardo, dove la sobrietà è addolcita dalla serenità, rivive negli occhi del figlio Claudio che, nato nel 1953, dopo la licenza media comincia la sua... gavetta nella bottega del papà. Forse vorrebbe proseguire negli studi, magari frequentando il liceo artistico... Ma non si può!
E da allora, via via, dall’abilità del papà e del figlio nascono cancelli, balconi, attrezzi contadini... Tanti anni di lavoro per soddisfare la richiesta di privati e di industrie... anni di crescita e di soddisfazioni.
Ma accanto alla sua alta professionalità, in Claudio convive la passione per l’arte, l’arte del ferro battuto. Perché lui sa che con il ferro è possibile fare persino della poesia. Lui lo plasma, lo torce, lo piega in mille forme: il ferro, reso morbido e malleabile dal fuoco, così prende vita, addirittura può esprimere sofferenza, narrata attraverso il suo contorcimento a volte spasmodico e doloroso.
O può esprimere la gioia della fantasia che si libra in volo al di sopra della materia. Comunque, trasuda sempre una sorta di amore, perché Claudio è profondamente affascinato da questo metallo che nobile non è ma che ha una grande dignità, un metallo che per lui non ha più segreti. E giorno dopo giorno cresce la sua passione che ormai è vera e propria scultura.
E questa passione passa anche nel giovanissimo figlio Gaetano (nato nel 1994), cui dà il nome del nonno, quasi a volersi riallacciare alle proprie origini. Per il suo ragazzo, Claudio vuole quello che non ha potuto realizzare per sé: cioè che la sua passione, la sua arte possa essere il suo lavoro, vuole che sia la gratificazione della sua vita, vuole che lui possa dare libero sfogo alla sua fantasia affinché questa si liberi sempre dalla materia, volando verso l’infinito....
Le opere di Claudio Oliboni hanno maturato nel tempo una vena elegiaca che gli ha fatto abbandonare il suo iniziale, appena accennato, verismo per portarlo ad una sobrietà essenziale che oggi è arrivata ad un sintetismo lirico veramente sorprendente. La sua scultura, dalla tecnica volubilmente e istintivamente variabile, sembra essersi asciugata, perdendo anche i più lievi particolari, spiritualizzandosi. Quasi scarna, conserva però chiaroscuri, ombre, chiazze di luce che integrano, arricchendola, la narrazione del ferro... Interpretazione dalla grafia forte, sicura, incisiva, viva. Narrazione che oggi, peraltro, vede come grande protagonista anche, o forse soprattutto, l’acciaio inox che, più del ferro, con il suo splendore sa riflettere i più tenui bagliori di quella stessa luce, attanagliando e graffiando l’anima. È stato detto che “è straordinario come una sola persona, con le sue mani, possa realizzare opere simili che non hanno bisogno soltanto di tecnica, ma anche di meditazione e di contemplazione....È un lavoro che non è soltanto soddisfazione per l’autore, ma che porta gioia all’umanità che ne può godere”.
Basta ammirare alcune delle opere di Claudio Oliboni per essere completamente dello stesso avviso...

Adriana Bigano



 
 
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